I limiti dello sviluppo

Nel 1972 è stato pubblicato un libro profetico e catastrofico: “I limiti dello sviluppo”, The limits to growth” scritto dai coniugi Meadows, Jørgen Randers e William W. Behrens III.

Il messaggio era: l’incremento demografico, la crescita economica e sociale, la globalizzazione, l’alterazione degli equilibri cosmici, stanno distruggendo la terra.

Questo tipo di monitoraggio è stato proseguito dal 1984 al 2017 in “State of the world” libri pubblicati annualmente dal Worldwatch Institute; in “I nuovi limiti dello sviluppo“ del 2006 e in “2052: scenari globali per i prossimi quarant’anni” di Jørgen Randers nel 2013.

Siamo arrivati alla fine della sostenibilità?

Forse si: i trattati internazionali sul clima (global warming) o sulla protezione della biodiversità non sono mai riusciti a risolvere i problemi globali del pianeta.

Non si può crescere all’infinito, il pianeta non ha più le risorse sufficienti, scienza e tecnologia non sono in grado di fornire una soluzione, lo sterminio di massa non è auspicabile.

La rivoluzione informatica ha aumentato la produttività, ma anche la disoccupazione determinando la nascita degli stati assistenziali ed ora la fine delle società industrializzate.

Il capitalismo cerca di proseguire ignorando queste realtà (business as usual), ma le misure dovevano essere prese, la Terra non può più sopportare: la crescita della popolazione, il sovra sfruttamento delle risorse, la produzione di energia a basso costo (da combustibili fossili, carbone, petrolio, metano) e l’inquinamento ambientale.

La fine del capitalismo industrializzato significa la sopravvivenza del mondo per le prossime generazioni.

L’unico sistema per tentare di fermare “il mondo” è stata la creazione di un’autorità sovranazionale, già suggerita da Jørgen Randers nel suo ultimo libro, con la capacità di imporre scelte rapide e se necessarie dolorose. Questa necessità era stata percepita in economia quando sono state istituite le banche centrali e il fondo monetario internazionale; realtà capaci d’imporre obiettivi specifici per il risanamento dei bilanci delle singole nazioni.

Le popolazioni industrializzate devono capire che lo stato di benessere non necessariamente si deve correlare alla ricchezza ed all’eccessiva mobilizzazione.

La fine dell’industrializzazione sarà anche la fine del trionfo della medicina ed il ritorno all’amor fati, ovvero alla necessità di accettare la realtà e l’immutabilità del destino. È necessario tornare all’atteggiamento proprio dell’oltre-uomo che accetta entusiasticamente, fino a desiderarlo, il carattere casuale e arbitrario degli eventi che compongono la sua vita (Nietzsche).

Non si deve vivere per non morire, “l’uomo saggio vive finché deve, non finché può” (Seneca).

L’uomo ha il diritto di non tentare di sopravvivere a tutti i costi, ma d’intraprendere i percorsi di cura solo quando il costo (la sofferenza indotta e la patologia iatrogena) giustificano il beneficio ovvero la possibilità sostanziale e statisticamente probabile di raggiungere la piena guarigione.

Il paziente non deve subire cure inutili e penose, soprattutto quando i loro effetti superano il limite consentito dalla sua dignità.

Francesco Bacone scriveva nel 1605: “Il compito del medico non è solo quello di ristabilire la salute, ma anche quello di calmare i dolori e le sofferenze legate alle malattie; e di poter procurare al malato, quando non c’è più speranza, una morte dolce e tranquilla; questo suicidio assistito è una parte non trascurabile della felicità”.